Capaci…di guardare in faccia la realtà.

Il 23 maggio 1992 io non avevo neanche un anno. Non ho ricordi di quel giorno ma ho chiesto ai miei genitori di aiutarmi a ricostruire l’arrivo della notizia della strage di Capaci.

Internet non era alla portata di tutti come oggi, dunque certe notizie arrivavano solo con le edizioni straordinarie del telegiornale. Eravamo tutti e tre a casa, io e i miei genitori, e ad un certo punto partì la sigla del telegiornale in un orario insolito, fecero vedere le immagini della voragine sull’autostrada all’altezza di Capaci, il fumo nero. Mio padre, membro dell’esercito, racconta oggi che lo sconforto che provò in quel momento fu unico. Sconforto, dolore ma soprattutto rabbia. Rabbia che arriva un momento dopo le altre emozioni perché necessita di essere razionalizzata. Rabbia perché ci si rende conto che all’interno dell’organizzazione statuale qualcuno deve aver tradito. Chi ha tradito? E soprattutto perché? Una talpa DEVE esserci perché la scorta di Falcone era attenta e professionale e i suoi spostamenti venivano organizzati con la massima precisione e segretezza. Poi arrivò il senso di sconfitta: finché il magistrato era rimasto a Palermo era solo un uomo scomodo ma facilmente isolabile, ma quell’uomo aveva compiuto l’errore di spostarsi nella capitale, nella città del vero potere e qui non era più solo un uomo scomodo, ma un uomo da eliminare.

Uno dei primi pensieri è andato agli uomini della scorta, alle loro famiglie, a quei figli rimasti senza genitore.

Gli ho chiesto quale fosse il clima, quali fossero le sue sensazioni subito dopo la strage. “Cupo, tragicamente abbattuto, una piccola fiamma di rivolta e voglia di sradicare quello schifo dall’Italia è stata accesa soprattutto dal discorso doloroso e straziante tenuto da Paolo Borsellino in ricordo dell’amico e collega… ecco, il 19 luglio, quando poi uccisero anche Borsellino, bè lì pensai che fosse davvero finita”.

Ho voluto condividere con voi questa riflessione non subito, ma qualche giorno dopo l’anniversario della strage. Ricordarsene soltanto il 23 maggio non serve pressochè a nulla. Morti come quella di Capaci o quella di via d’Amelio dovrebbero entrare nel nostro intimo, mi spiego: ognuno ha sensibilità diverse, ma se riuscissimo anche solo per un istante ad acquisire un minimo di patriottismo, bè, forse riusciremmo a sentire quei morti come NOSTRI morti, come fosse un nonno, un parente vicino, qualcuno a cui tenevamo che viene a mancare. E lo fa in modo cruento e terribile.

Io molto probabilmente sono esagerata, ipersensibile e scema, sì anche scema, ma io ogni volta che sento raccontare la vita di una vittima di mafia sto male. Lo ammetto, spesso piango anche. Cuore debole da femminuccia? Può essere. Ma credo che sia anche amore per questo maledetto Paese che tanto schifiamo. Io ci tengo alla MIA Italia, perchè è anche mia. E non intendo continuare ad abbassare lo sguardo, ma voglio essere capace di guardare in faccia la realtà e di reagire.

A.